Abitavo in via Andrea Molino, alla periferia di Giovinazzo, un nuovissimo quartiere di palazzi gialli, costruiti da una cooperativa nel 1984. Se per le strade del centro storico di Giovinazzo ci passa giusto giusto un'automobile (forse), e in quelle del paese nuovo ne passano 2, via Andrea Molino era larghissima. Dritta e larghissima. Era la strada che conduceva al nuovo quartiere 167.
Un incrocio separa il paese da questa nuova zona. Superato questo incrocio, sulla sinistra c'è la chiesa Immacolata, poi un parco giochi (sempre chiuso), la scuola elementare, poi un altro incrocio e infine la cooperativa di palazzi dove abitavo anch'io. Sulla destra invece una serie di palazzoni enormi abitati per lo più da famiglie di molfettesi.
La particolarità di quella lunghissima strada era la combinazione unica per Giovinazzo di assenza di curve e la sua spropositata larghezza. Cosi larga che credo ci potesse atterrare un aereo, almeno uno di quelli privati. Percorrerla a piedi per i 7/8 minuti che mi separavano da casa era un esperienza non piacevole per chiunque, in qualunque periodo dell'anno si trovasse.
In estate, ricordo che tornando dal paese per tornare a casa, ci si fermava all'ultimo incrocio e con il palmo della mano poggiato sul fresco travertino dell'ultimo palazzo, ci si riparava dal sole, in attesa di avere la forza e il coraggio di attraversarlo. In quegli attimi di attesa si osservava quella lunga strada assolata, senza un portone, senza un albero, senza una tenda di un negozio, senza nulla che potesse ripararmi dal sole, anche per un solo istante.
Come nei film western, lanciando lo sguardo alla ricerca della nostra casa lontana, si finiva per avere dei miraggi, di vedere o sognare di vedere ombra, acqua, un pò di refrigerio.
Ci si voltava indietro nella speranza di avere il "passaggio". A volte capitava, quindi perchè non sperarci? Un amico, conoscente, un vicino di casa.....a tal scopo si guardava col sorriso chiunque passasse, sperando anche che riconoscesse chi fossimo e dove abitavamo e spontaneamente si offrisse di darci un passaggio. A volte capitava. E mi vengono i brividi anche oggi se ripenso a quelle frenare a cui seguiva un "ehi, vuoi un passagio?"......
c***o se lo volevo. Non rispondevo nemmeno e correvo verso il beneffattore.....
Ma non sempre si era fortunati e quella strada bisognava attraversarla a piedi, sotto il sole, salutando i 40 gradi all'ombra.
Il primo impatto era tremendo, ma quando credevi di abituarti passo dopo passo, cominciava a farti male la testa. Sudavi di brutto e con lo sguardo basso e bestemmiando quelli del Comune per non aver attrezzato la strada in modo da porterla attraversare almeno da un lato nell'ombra, arrivavi alla scuola elementare e poi all'incrocio con la cabina telefonica.
A quel punto mancava davvero poco. Ero già nella zona della mia cooperativa. Ancora pochi metri e avrei raggiunto il cancelletto del palazzo B.
Peccato che con gli anni, quelli del palazzo B, gelosi, invidiosi o non so cosa che tutti quelli dei palazzi C e D entrassero dal loro cancelletto per varcare la recizinzione e aver accesso alla cooperativa, ebbero la brillante idea di chiuderlo a chiave. Cosi che la distanza dall'ombra si allungò ulteriormente d qualche metro.
Per fortuna quelli del palazzo B dimenticavano spesso la chiave, e dovevano tornare indietro per uscire dal cancello del palazzo C.
A quel punto il loro cancello tornò ad essere sempre aperto anche senza bisogno della chiave.
D'inverno invece erano i forti venti di tramontana ad abbattersi sui malcapitati che volevano attraversare a piedi quella strada. Solitamente quando si tornava a casa si beccava il vento di fronte, e ricordo che si camminava molto lentamente, avendo enormi difficoltà a dover fare un passo avanti.
Se poi pioveva.....bè allora era davvero dura. In balia di vento e pioggia, voler attraversare quella strada era come entrare direttamente in una lavatrice.
D'altronde la strada era cosi piana che diventava una specie di fiume, e sembrava di essere captapultati in un video game, nel quale riparandosi dietro pali della luce o bidoni dell'immondizia, si cercava di non venir sommersi dagli schizzi delle auto che correvano a folle velocità su quella che era la strada più lunga e larga di Giovinazzo.
Arrivare indenni a casa in tali condizioni era pressocchè impossibile. Tutti gli sforsi erano inutili.
All'incrocio vicino casa mia, quello dove c'era la cabina telefonica, c'era una grande pietra bianca, posizionata sotto il gradino. Era li da diverni anni e mani nessuno l'aveva spostata.
Una sera, di ritorno a casa insieme ad un altro mio amico, non so per quale motivo decisi di spostarla e sotto ci trovai alcune pagine di un giornaletto porno. Non ne avevo mai visto uno e non sapevo nemmeno che esistessero tali giornali.
Dopo alcuni giorni i miei genitori mi accompagnarono da un dottore a S.Spirito per la visita oculistica.
P.S.
Scusate per gli errori, ho scritto di getto e mo non ho tempo di correggere.