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Roba da Museo

Lo stadio e' sempre stato un punto di riferimento delle domeniche baresi... e ne sono successe di cose!!! Raccontatecele!
whensundaycomes

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Roba da Museo

Messaggioda whensundaycomes » mar ago 04, 2015 11:16


Lo si diceva tempo fa: la battaglia contro la Tessera sta agli Ultras come quella per l’articolo 18 sta ai sindacati. Perentoria, universalmente legittima, totalmente inutile, indiscutibilmente perdente. Un feticcio, insomma. Che non tiene conto dei tempi e dei modi. Quando i sindacati si battevano per la difesa del posto di lavoro dai licenziamenti arbitrari, attorno v’era un mondo fatto di certezze più o meno incrollabili: di tempo indeterminato, di straordinari e ferie pagate, di maternità retribuite, di congedo parentale, di contributi Inps. La precarietà esistenziale, oltre a quella puramente lavorativa, ha devastato lo scenario dello scontro. I ruoli si sono confusi, fino a sovrapporre i confini del giusto e dell’ingiusto. Oggi, la difesa dei diritti dei lavoratori non precarizzati, è ferrovecchio minoritario. Indispensabile per mantenere alta la credibilità di chi lo sostiene. Irricevibile, per il resto del mondo. Perché reso tale dal contesto. Che cambia, cambia, cambia in peggio. A velocità incomprensibili. Alle quali non ci si può adattare.
Per gli Ultras è uguale.
Parere personale.
Vivere in curva nel 1985 non era come vivere una curva dieci anni dopo. E tra il ’95 e il 2005 ci passa, più o meno, lo stesso universo, di mezzo. Gli Ultras sono cambiati, per loro stessa natura, da sempre. E cambiano di continuo. Le regole che parevano immodificabili, quasi eterne, quando si avevano sedici anni, sono diventate retaggio folkloristico, buono per una saga nordica di aneddoti sconclusionati. Ciò che sul serio valeva, ai tempi, si è sminuito a memoria di ciò che era. Capita. Funziona così. Non ha senso cercare, nel mondo immacolato e pieno di contraddizioni degli avi intoccabili, le motivazioni che ancora oggi spingono a salire i gradoni dei settori (un tempo) popolari. Quelli sono individuali e collettivi. E riguardano l’oggi, non le immaginarie epoche d’oro. Allora, stabiliamo una volta per tutte, che la lotta contro la Tessera altro non ha apportato, al movimento, se non la cruciale consapevolezza che non esiste alcun movimento. Che non siamo fronte. Che non sappiamo batterci per più di una partita.
E allora, pazienza.
Il Foggia, domenica, andrà a Bari. A Bari. Sedici anni dopo il 2-1 di Matrone e Di Michele (che poi era autorete di Zanchi). Io, quel giorno di gennaio, c’ero. E c’ero due anni prima, quando si perse, con Catuzzi allenatore, in A. E c’ero prima, nel 1992, in primavera, quando si vinse 3-1. E prima ancora, a settembre, quando si giocò in campo neutro con la Juventus. E ancora, a risalire, nella primavera del ’91, quando si pareggiò – sempre in campo neutro – 3-3 col Pescara. Io i miei treni, le mie carovane di macchine con le sciarpe ai finestrini, i miei regionali senza ritorno, i miei mezzi di fortuna, li ho visti, li ricordo e li racconterò. Finché avrò fiato. Fiero e felice d’aver vissuto quegli anni e di aver servito quella causa. Così come, fiero e felice, affronto quel che siamo. Con la consapevolezza aggiuntiva che non sono nessuno per imporre a chi è venuto dopo di me di dare retta alla mia cieca coerenza di vecchio. Mi spiego meglio. Nel mio gruppo – visto che è risorto, all’improvviso, il dibattito sulla Tessera e sulle incoerenze – ci sono ragazzi validi e vigorosi, appassionati ed entusiasti, forse più di me, che per un semplice dispetto dell’anagrafe, per un bisbetico capriccio degli anni, hanno vissuto forse due, forse dieci trasferte. E che se gli dici Bari, ti rispondono con la stessa faccia di un pensionato al quale si nomina Zanzibar. O Ibiza. Noi abbiamo detto “Tesserati mai”. E l’abbiamo detto perché lo pensiamo. Perché ci crediamo. Altri, prima di noi, avevano visto nel biglietto nominale, nelle trasferte vietate, nei calcoli immondi dell’Osservatorio, nell’inasprirsi dei Daspo, il limite estremo. Noi ci siamo arrivati dopo. Perché ogni uomo ha bisogno di un punto di non ritorno. Ogni uomo sente il bisogno di segnare il finisterre. Per noi è stata la Tessera. Così, abbiamo raccontato ai più giovani che bisognava resistere, reggere, mentre fallivamo. Mentre gli prospettavamo battaglie campali che non riuscivamo ad ipotizzare. Domenica il Foggia va al “San Nicola”. Con l’entusiasmo che c’è qui, con l’attesa di un derby che i sedicenni non hanno mai visto, in trasferta libera a Bari, domenica, saremmo stati duemila. Minimo. Invece, niente. Saremo a casa, i vecchi che l’hanno scelto e i giovani che l’hanno subito, a seguire il viavai di sms dalla tribuna stampa, le notizie su internet, gli aggiornamenti degli amici degli amici. A tribolare, a soffrire o a gioire per un epifenomeno estraneo alla nostra vita come e più dei playoff di football americano. Il tutto nel nome di una coerenza che non mi va più di tributare come lascito. Quando mi innamorai di questo mondo avevo sì e no quattordici anni. In curva – in casa e fuori – si stava come dicevano quelli che c’erano da prima. E, quelli, non somigliavano affatto a quelli che c’erano stati prima di loro. I mondi cambiano. Tra dieci anni, probabilmente, visto l’andazzo, in Italia ci sarà una nuova generazione di Ultras. Gente ossequiosa a regole per noi assurde, ma dal cuore identico al nostro. Pronta a dividersi un pasto, a macinare chilometri, ad affrontare uno scontro in inferiorità numerica. Con la Tessera in tasca. Lo so, lo sappiamo, che altre repressioni veleggeranno al loro orizzonte. Ma, nel frattempo, quei ragazzi avranno vissuto qualcosa che varrà la pena raccontare. Cosa guadagnano restare a casa con noi? Tetre nostalgie di anziani che, ad andar bene, gli racconteranno degli scontri del Vomero come i reduci della Prima Guerra mondiale raccontavano dell’Isonzo ai paesani. Non ha senso. Non abbiamo saputo combattere per vincere. Ci siamo auto-mutilati, tutt’al più. Ci siamo fustigati, come monaci cristiani negli eremi. Abbiamo riempito le nostre bacheche di trasferte non fatte, di guerre non affrontate, di stadi non visti e di privazioni che ci hanno resi folli, tristi e sconfitti. Ora, rivendicando fino all’ultimo le nostre scelte (che sono le nostre, le nostre e basta!), sarebbe il caso che lasciassimo ai più giovani la libertà morale di andare incontro alla loro contemporaneità. Senza lettere scarlatte sulla schiena. Questo è il mondo che li aspetta. Un mondo che abbiamo contribuito, nel bene e nel male, a confezionargli. Togliamoci di mezzo. Non del tutto, non di certo. Magari restiamo lì ancora un po’, a guardia di un mondo che non esiste più, finché non sarà esaurito il nostro ruolo. Ma senza riempire di incrollabili certezze crollate le menti e i cuori di chi, oggi, non ha il coraggio di spodestarci. Per dirci in faccia che la giostra ricomincia, che altrove è già ricominciata. Che domenica si va a Bari. E che noialtri, con le nostre nostalgie, siamo roba da museo. E amen.

http://www.sportpeople.net/roba-da-muse ... personale/
Ciao Gianni, la tua trasferta continua nei nostri cuori!

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Re: Roba da Museo

Messaggioda foggia » mar ago 04, 2015 12:03


e giĂ ....... siamo pezzi da museo
"Se solo lontanamente capiste cosa significa per me quella maglia, oggi morireste sul campo per darmi la vittoria!"

E' sempre lo stesso motivo......è sempre la stessa strada......sono sempre gli stessi sorrisi......E' PER OGNI MALEDETTA DOMENICA

giĂ  sai :conigliocorre:


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